IMMAGINATEVI

IMAGINE Immaginatevi fantasmi, dèi, diavoli. Immaginatevi inferni e paradisi, città sospese tra i cieli o sommerse nel fondo dei mari. Unicorni e centauri. Streghe, maghi, gnomi ed elfi. Angeli e arpie, fatture e incantesimi, spiriti degli elementi, spiriti buoni o spiriti malvagi. Facili da immaginare, tutte queste cose. L'umanità continua ad immaginarle da migliaia di anni. Immaginatevi astronavi e tempi futuri. Facili da immaginare: il futuro sta arrivando, ed in esso ci sono le astronavi. Non c'è niente, dunque, che sia difficile immaginare? Certo che c'è. Immaginatevi un po' di materia, con voi stessi dentro che pensate, siete quindi consapevoli di esistere e sapete far muovere questa materia in cui siete: farla star sveglia o dormire, farle fare l'amore o una passeggiata in collina. Immaginatevi un universo, infinito o no, a piacere vostro, con dentro milioni di bilioni di trilioni di Soli. Immaginatevi una sfera di fango che gira e gira vorticosamente attorno a uno di questi Soli. E immaginate voi stessi su questa sfera, a girare anche voi,a girare vorticosamente nel tempo e nello spazio, verso una mèta ignota. Immaginatevi. Fredric Brown (1955)

sabato 27 aprile 2013

Premessa al post più vecchio !!!

Sul  Tamburo riparato  ho pubblicato un post dal titolo: 
La vera storia del gatto di Schroedinger 

È uno scherzo che però per essere compreso appieno richiede alcune conoscenze di fisica o meglio di storia della fisica del ‘900.
Popinga  (detto anche Marco Fulvio Barozzi)  scherzosamente, ma giustamente, me lo ha fatto notare nei commenti.

Allora provo a rimediare con una piccola storia di un argomento di fisica e di storia della fisica spiegata a tutti a modo mio. Non per i fisici, ma per chi (come me) di fisica non sa quasi niente.    Vediamo come viene e che ne dite. 

Jeans (il cubo di) è la storia di un altro"Gedankenexperiment”.
La traduzione dal tedesco è esperimento mentale   (http://it.wikipedia.org/wiki/Esperimento_mentale),
cioè un esperimento che non si può fare realmente, perché qualche fattore richiesto è impossibile da realizzare, ma che -a parte questo- risponde a tutte le leggi fisiche conosciute. Lo scopo  è quello di evidenziare una qualche discrepanza o la totale rispondenza  dell’esperimento alle leggi fisiche e quindi metterle in discussione o confermarle.

Buona lettura del post più vecchio  e se andrete anche sul  Tamburo riparato a leggere La vera storia del gatto di Shroedinger credo vi divertirete.                      

Jeans (cubo di)

 Chiacchierate al-quanto relative per aspiranti fisici di buona volontà”
PRIMA  puntata.
Pesantuccia, mooolto lunga, imprecisa, ma stimolante (spero) per chi non sa nulla di fisica.


Jeans (cubo di)
 
Jeans.
A cosa vi fa pensare?
Pantaloni : Levi’s, Wrangler, Jesus, Jeckerson , Armani, Diesel e poi basta lì, sennò riempiamo il post.
Invece  il signor Jeans, anzi Sir James Hopwood Jeans (1877-1946) lo conoscete?
Dovreste, perché inventò un’arma di distruzione di massa di terribile potenza, ma un professore tedesco la disinnescò, la aprì e da lì (come da un vaso di Pandora) uscì un mondo nuovo, quel mondo che ancor oggi non riusciamo a comprendere e a dominare del tutto.
Quella cosa terribile era il Cubo di Jeans.
È una storia lunga e complicata, vediamo se riesco a tenervi qui a leggerla fino alla fine.
Intanto ora scriverò una luuunga parte in corsivo: siete autorizzati a saltarla a piè pari, in ogni caso (se vorrete) ci ritroveremo dove finirà il corsivo.

Torniamo indietro nel tempo, tanto tempo (tanto per quello che è successo non per quello che è passato). Siamo nell’ 800.
L’800 era cominciato come sempre: gente che si ammazzava a destra e manca.
Però spirava un’aria nuova, che dava alla morte un significato più romantico: la rivoluzione francese aveva dato una scossa all’Europa e così “Napoleone chiama la meglio gioventù” sempre a farsi ammazzare, non si sa perché e per chi.
Ma  lentamente qualcosa cambia, crollano Imperi e nascono nazioni.
Nascono consapevolezze, ideali e utopie.
C’è qualcosa di nuovo per cui morire: per esempio si può andare in Messico a farsi fucilare come imperatore!
Ma a Paris c’è il can can, dai, che ci si diverte!
Insomma come in quegli stessi anni diceva il principe di Salina "Tutto cambia affinché nulla cambi".
  E invece, col cavolo che non cambia nulla, sta cambiando tutto!
La scienza sta producendo la tecnologia o a volte è l’inverso:
Si illuminano le strade
Arrivano le locomotive.
Arrivano le lampadine nelle case.
Arrivano il grammofono e la fotografia.
Arrivano il cinema e la dinamite.
Arrivano i motori a scoppio e quelli elettrici.
Arrivano il telegrafo e il telefono.
Arrivano le automobili e le motociclette.

Sì , sento che anche voi siete arrivati al limite della sopportazione e chiedete: ma la fisica quando arriva?

Nell’Ottocento tre pilastri reggevano le certezze della scienza.
Erano l’Elettromagnetismo (che aveva prodotto le lampadine e i motori elettrici),
la Termodinamica (che aveva prodotto i treni ed i transatlantici a vapore) e
la Meccanica di Newton (che spiegava come la mela che cade sulla terra e i pianeti attorno al Sole rispondono alle stesse leggi e che permetteva di fare calcoli molto precisi)
In realtà c’erano piccole cose che non quadravano, per esempio il pianeta Mercurio non girava attorno al Sole proprio come avrebbe dovuto. Ma una spiegazione si sarebbe certo trovata, poteva forse essere colpa di un altro piccolo pianeta ancora più vicino al Sole di quanto non lo sia Mercurio, che alterava l’orbita di quest’ultimo. Il pianeta non si trovava, ma la spiegazione doveva comunque essere facile, lì a portata di mano. Invece la spiegazione fu una rivoluzione, una delle due grandi rivoluzioni scientifiche del ‘900. Ma questa è un’altra storia.

 Le più grandi menti del tempo indagavano (spesso assieme) le due scienze nuove, in pieno trionfante sviluppo: erano quella delle Onde Elettromagnetiche di Faraday e Maxwell e la Teoria Cinetica del Calore di Boyle e Bernouilli ovvero la Termodinamica.   
Pensate che fino a metà dell’ottocento si credeva che responsabile del calore fosse un fluido che scorreva dalle sostanze calde a quelle fredde, il cosiddetto calorico. Solo dopo quella data personaggi come Joule, Thomson e Kelvin dimostrarono quello che oggi tutti sanno: il calore è la conseguenza del movimento delle molecole o degli atomi che compongono i solidi, i liquidi e i gas. Considerate che, quando venne fatta questa scoperta, già da alcuni decenni le locomotive arrancavano sulle strade ferrate.

Ora comincio (finalmente!) a raccontarvi la storia di una delle due grandi rivoluzioni scientifiche del ‘900.
E’ una storia facile in fondo, molto in fondo.
Il calore è il risultato del movimento delle molecole. Sicuro, ma anche in un piccolo volume ce ne sono tante, tantissime, tantissimissime, come facciamo a seguirle una per una?  
Non si fa. Si usa la statistica, quella che per Trilussa:
seconno le statistiche d'adesso
risurta che te tocca un
pollo all'anno:
e, se nun entra nelle spese tue,
t'entra ne la statistica lo stesso
perch'è c'è un antro che ne magna due.

Bene, la  Meccanica Statistica -invece- è una cosa seria, fidatevi.
Uno dei principi fondamentali della Meccanica Statistica è il Teorema di Equipartizione (discende dalla meccanica di Newton). E’ il teorema della media, infatti dice:
“L’energia totale contenuta in un sistema di un gran numero di particelle, che si scambiano energia tra di loro con urti reciproci, si ripartisce ugualmente (in media) fra tutte le particelle e ne determina la temperatura”.
Infatti se mescoliamo acqua calda ed acqua fredda, dopo un po’ avremo acqua tiepida. Banale, no?
Però, come dice Trilussa, la media è una media, non è una realtà. Nella realtà l’energia di ogni singola particella è diversa e da questo derivano le fluttuazioni statistiche.

 


Questo grafico semplice semplice riporta la distribuzione dell’energia di un liquido secondo Maxwell e Boltzmann.
Spero non servano spiegazioni: a seconda della temperatura vi sono quantità diverse di molecole per ogni livello di energia cinetica. Notate solo una cosa: la linea rossa si interrompe prima di arrivare alle ascisse. Vuol dire che con quell’energia (cioè temperatura) il liquido evapora.
Questo spiega perché a 100°C l’acqua evapora un po’ per volta e non tutta assieme. Banale,no?

Fin qui ci siamo, ma ecco che alla fine dell’ottocento Lord Rayleigh e James Jeans pensano di estendere il metodo statistico usato per le proprietà termiche delle cose allo studio dei problemi della radiazione termica.

Chiariamo subito: la radiazione termica è la radiazione elettromagnetica. Tutti i corpi che abbiano una temperatura superiore allo zero assoluto emettono radiazioni elettromagnetiche.
Possiamo immaginare la radiazione elettromagnetica come un’ onda che comincia con ampiezze larghissime e finisce con ampiezze strettissime:


Come tutti sapete e come si intuisce dal disegno una parte dello spettro della radiazione elettromagnetica è la luce visibile. L’ampiezza delle lunghezze d’onda va calando in questo senso: onde radio, microonde, infrarosso, visibile (da rosso a violetto), ultravioletto, raggi X, raggi gamma.
Più l’oggetto è caldo minore sarà la lunghezza d’onda della radiazione che emette: la cenere calda emette infrarossi e ne sentiamo il calore, ma la vediamo grigia, quasi nera; l’arco voltaico a 4.000°C emette luce intensissima, soprattutto nell’ultravioletto e bisogna usare gli occhiali di protezione.
C’è un’altra considerazione da fare, se un corpo riscaldato emette radiazione, evidentemente lo stesso corpo, quando è colpito da radiazione si riscalda. Avete tutti preso il sole d’estate! Però c’è da considerare che un corpo che riceve della radiazione elettromagnetica in parte la trasmette e in parte la riflette, in modo diverso a seconda delle sue caratteristiche. In spiaggia avete mai toccato qualcosa di gomma nera e uno specchio? Quale scotta di più?
Insomma ci sono un sacco di differenze da caso a caso.
Queste differenze complicano lo studio del fenomeno e così gli scienziati, per studiare le loro formule, si inventarono una cosa che non esiste: il corpo nero. È un oggetto ideale che assorbe tutta la radiazione, non la riflette (perciò è nero), ma la re-irraggia (radiazione e spettro di corpo nero) secondo determinate regole. Sono queste le regole che gli scienziati vogliono capire.
Il modo migliore di costruire un corpo nero è quello di immaginare un corpo cavo tenuto a temperatura costante: le sue pareti interne emetteranno radiazioni termiche, cioè elettromagnetiche, che resteranno sempre al suo interno, finché non si aprirà uno sportellino per farle uscire e per vederle.
La legge del corpo nero non è poi una cosa così esotica, nell’ambito della luce visibile quasi tutti i materiali si comportano così e il loro colore dipende dalla temperatura: potete constatarlo in un caminetto acceso. Quando il fuoco sta per spegnersi la brace è rosso scura, ma se ci soffiate la carbonella diventa arancione, gialla, anche bianca: il calore è cresciuto perché abbiamo ravvivato il fuoco con l’ossigeno del nostro soffio.

Stanchi? Credo di sì, è un discorso molto lungo, che forse sembra anche un po’ ovvio.
Allora intervallo.

 Sapete qualcosa della vita di Lord Rayleigh (1842-1919), cui ho accennato prima?
Era nobile, molto nobile come avrete capitolo dal titolo di Lord con cui lo si identifica. Ma Lord non si nasce e il suo cognome era John William Strutt, figlio di un barone dell’Essex.
Ebbe nell’infanzia e nella prima giovinezza problemi di salute che resero saltuaria ed irregolare la sua educazione, ma con costanza, applicazione, intelligenza ed ottimi insegnanti si laureò a Cambridge e in quell’università divenne poi Cavendish Professor. Occupò cioè la prestigiosa cattedra che era stata istituita da William Cavendish Duca del Devonshire ed era stata nientemeno che di Maxwell e su cui, dopo di lui, sedettero schiere di Premi Nobel. Alla morte del padre, nel 1873 divenne Lord e come tale il suo lavoro principale divenne quello di amministrare le grandi proprietà di famiglia. Allora dopo tre anni lasciò l’incombenza al fratello minore per dedicarsi totalmente ai suoi studi. Aveva già da tempo allestito presso la sua abitazione un attrezzatissimo laboratorio con strumenti acquistati in America dove si dedicava agli esperimenti, mentre l’università era riservata allo studio. Tre anni dopo ancora, nel 1879 divenne Cavendish Professor. Nel 1904 ebbe il Nobel per la fisica.

 Invece James Hopwood Jeans  (1877-1946) era figlio di un giornalista parlamentare. Fin da bambino era molto portato alla matematica e dotato di una memoria eccezionale; ottenne una borsa di studio in fisica sperimentale nel laboratorio Cavendish , dove insegnava Rayleigh. Soffrì di tubercolosi e durante il soggiorno in un sanatorio a lavorò al suo primo importante testo sulla teoria dinamica dei gas.
Esulano dalla nostra chiacchierata i suoi studi di astrofisica sulla dinamica e sull'evoluzione delle stelle, sulla formazione delle nebulose spirali e sulla formazione dei pianeti. Si interessò  di musica come musicista e come studioso.
Nel 1928 fu fatto baronetto, dopo il 1929 Jeans rinunciò alla ricerca per scrivere numerosi testi di divulgazione scientifica di grande successo.
Morì di infarto miocardico e trascorse parte del suo ultimo giorno ascoltando musica. 
Nella “Rede lecture” del 1930 all’Università di Cambridge aveva detto:
…the Great Architect of the Universe now begins to appear as a pure mathematician.


Ora ritorniamo alla radiazione termica che era studiata da Rayleigh e Jeans e cerchiamo di semplificare al massimo.
Sir Jeans, che allora era ancora Mr.Jeans, propose un esperimento mentale.
Prendere un cubo, con una finestrella, fatto all’interno di specchi ideali (perfettamente riflettenti). Soffiarci dentro una piccola nuvola di polvere di carbone e poi spararci un flash di luce rossa. Richiudere lo sportellino e riaprirlo dopo un po’.
Secondo  le teorie correnti, quelle di Wien, Stefan-Boltzman e di Lord Rayleigh e Jeans dal cubo di Jeans, così come dal corpo nero, all’apertura dello sportellino sarebbe dovuto uscire un lampo di mortali raggi gamma o almeno di raggi ultravioletti.
Questa era la catastrofe ultravioletta.
La catastrofe era in realtà che non succedeva nulla di questo e quindi le teorie e le leggi in voga erano in qualche modo sbagliate.
Questo schemino mostra ciò che accade in realtà e ciò che ci si sarebbe dovuto attendere dalle (allora) teorie classiche.
Qual’era il problema?
È il principio di equipartizione per cui ogni onda elettromagnetica di una certa ampiezza, battendo sulla parete del corpo nero o sul granellino di polvere nera, poteva trasferire la sua energia a un’onda di ampiezza minore e questo fenomeno, ripetuto numerosissime volte portava la radiazione a divenire di lunghezza d’onda sempre minore, cioè passare dal rosso all’ultravioletto o ai raggi X o addirittura ai raggi gamma.
Allora mi chiederete, perché onde di ampiezza più piccola e non più grande? Molto semplice: nel cubo o nel corpo nero non possono starci onde più ampie dello spazio a disposizione, quindi l’energia tende a ripartirsi  solo tra onde sempre più corte.

Siamo alla fine della lunga storia, sta per arrivare la spiegazione.
Sono stato tante volte sulla spiaggia che mi viene in mente un esempio, è un esempio a rovescio, ma di meglio non ne ho.
Da piccoli avete mai provato ad asciugare il mare? Non avete mai visto un bimbo che prende l’acqua con il secchiello e la getta sulla sabbia? Un secchiello alla volta. No, non basta, Ci vuole un secchiello più grande e poi uno più grande ancora. Niente da fare, il bimbo si scoraggia e smette di giocare, ma la notte sogna di avere un secchio grande come tutta l’acqua degli oceani, di riempirlo e di svuotare il mare.
Il sogno del bambino non assomiglia ad un esperimento mentale? Ma non fatemi ridere, chiunque sa che i secchielli da mare son tutti piccoli e non ne può esistere uno tanto grande da vuotare il mare.
Ecco: l’energia elettromagnetica è come l’acqua in un secchiello da spiaggia: ce ne sta tanta e non di più.
I secchielli sono più o meno grandi, ma sono sempre riempiti fino all'orlo e non si può svuotarli, nè poco, nè tanto.

Il 14 dicembre del 1900, invece di stare a casa ad addobbare l’albero di Natale, Herr Professor Max Planck alla riunione della Società Tedesca di Fisica a Berlino propose che l’energia delle onde elettromagnetiche possa esistere solo sotto forma di pacchetti discreti, o quanti, essendo il contenuto di energia di ogni pacchetto proporzionale alla lunghezza d’onda corrispondente.
 Planck, grande esperto di termodinamica, con i suoi occhialini tondi, i baffoni spioventi e il viso un po’ triste era il classico professore tedesco ottocentesco. Non vi dirò tutte le Università che frequentò, quella di cui divenne ordinario a soli 34 anni e non vi dirò della sua Tesi di laurea sul Secondo Principio della Termodinamica. Ops, ve l’ ho detto! Ma è solo un accenno e, se volete di più, la sua Autobiografia scientifica fu pubblicata due anni dopo la sua morte, l’anno che io nacqui. Tempi andati ! Tempi sempre nuovi e in divenire!
Max Planck in quel dicembre del 1900 sapeva che le sue equazioni erano esatte, sapeva di essere nel giusto, ma pensava che in seguito si sarebbe potuta trovare una spiegazione più tradizionale. Non avrebbe mai immaginato di essere sul punto di aprire le porte della fisica moderna.
Invece la sua ipotesi fu confermata incontrovertibilmente nel 1905 da un impiegato dell’Ufficio Brevetti di Berna, che pubblicò un lavoro sull’effetto fotoelettrico che gli valse il Nobel.

Ma siamo andati fuori strada (è tanto grande la storia della fisica!). Pochi anni dopo si comprese che i quanti di Planck erano gli gnomi che ci proteggono dalla catastrofe ultravioletta, perché le onde elettromagnetiche di una certa ampiezza non hanno quanti abbastanza energetici per produrre onde di ampiezza molto minore. Così si disinnescò il cubo di Jeans, che avrebbe potuto ucciderci tutti, ma si aprì il vaso di Pandora della fisica quantistica.


 Importante P.S.  il mio esempio balneare del mare vuotato a secchiellate è molto impreciso e può soprattutto far pensare che esista un mare di energia che noi possiamo sfruttare solo con dei secchielli. No, in realtà dovete immaginarvi tutti gli oceani non formati di acqua alla rinfusa, ma come un enorme ammucchiata di secchielli pieni d’acqua, secchielli più o meno grandi, ma che non si possono riempire, né vuotare. Come i quanti, come il fotone, l’inarrestabile quanto di radiazione elettromagnetica, che viaggia sempre alla velocità della luce e se si ferma smette di esistere, diventando qualcosa d'altro.
                                                                     E=mc₂ 

lunedì 18 marzo 2013

BAMBINI DELL’UNIVERSO. IL PENSIERO: la religione

Ciao bambini! Benvenuti. Entrate.
Dato che è il primo pomeriggio, non ho fatto la cioccolata, ma sul tavolo ci sono bibite e bicchieri: tutti per voi.
Vi ho chiamato così presto oggi, perché mi han detto che la chiacchierata dell’altra sera vi è piaciuta e quindi voglio provare a parlare con voi di un argomento che è e sarà importantissimo per il vostro modo di pensare da oggi in poi.
L’altra volta abbiam parlato dell’inizio dell’universo e dell’inizio dell’umanità. Oggi vorrei che cominciassimo a discutere del pensiero umano. Ci vorranno diversi incontri, ma spero non vi spaventerete.
Oh, accennate di sì con il capo con tanto entusiasmo, che mi fate felice.
Cominciamo dall’inizio.
Allora  Annarita, dimmi, ti ricordi quando è comparsa sulla faccia della Terra l’umanità?
Bravissima Annarita, non mi deludi mai, proprio 200mila anni fa nacque quell’essere da cui tutti discendiamo:  l’uomo, * che in realtà era una donna.
Ehi, vedo tutti i maschietti agitarsi scontenti!  Non è una gara a chi è partito prima: ognuno di noi ha un padre e una madre. Adesso vi spiego l’arcano. Voi sapete tutti che siamo fatti di cellule e che ogni cellula contiene il DNA che custodisce il nostro patrimonio ereditario. Vero. Però in ogni nostra cellula ci sono anche dei piccoli organi, chiamati mitocondri, che servono alla cellula per respirare e produrre l’energia che le serve. Orbene (ogni tanto userò parole strane perché non vi distraiate), dunque -dicevo- mentre il vostro DNA viene per metà da papà e per metà da mamma; i mitocondri no, vengono tutti dalla mamma. Ricordatevi sempre che alla mamma dovete tante cose, financo (perfino) i mitocondri.
Tornando al primo essere della nostra specie, per gli scienziati che studiano queste cose è spesso più facile studiare i mitocondri che il DNA, perché i mitocondri di maschi e femmine sono eguali, più piccoli e semplici del DNA  e, rispetto a questo, la loro evoluzione è molto minore. Ma tutti i mitocondri sono di mammà, quindi è più facile studiare la prima donna che il primo uomo.  Contenti maschietti?
Andiamo avanti, chi mi chiede qualcosa?
Bella domanda Peppe, com’era il primo essere umano?
Certo era diverso dai suoi predecessori.  Fra tante differenze c’era principalmente la conformazione ed il modo di funzionare del cervello, badate bene: non solo la sua grandezza, ma il modo di funzionare.
Però fra le altre, c’era una piccola differenza, che potrebbe sembrare insignificante: era la forma e la posizione della laringe, una parte di quella specie di tubo che unisce la bocca ai polmoni. Per quella piccola differenza l’uomo per primo fece risuonare sulla terra la Parola. 
Quello forse fu il principio di tutto.
Potersi parlare permise ai primi uomini di comunicare in modo molto più preciso e nello stesso tempo più versatile di quello che fanno gli altri animali, fu un’ulteriore spinta verso la socializzazione in gruppi più grandi e articolati. Ma imparare a parlare non è facile, lo sapete tutti, ci vogliono anni. Inoltre per la sua grande complessità il cervello umano continua a crescere e ad affinarsi fino a circa 11 anni per le ragazze e 12 per i ragazzi. (Lo sanno tutti che i maschietti arrivano sempre in ritardo: e voi là in fondo non ridacchiate!). Ecco quindi che la specie umana dovette curarsi dei piccoli più a lungo di qualsiasi altra, così si crearono le famiglie e da queste una organizzazione sociale.
E già, Amedeo, così nascono villaggi di tende o di capanne dove ognuno ha già un compito differente:  cacciatori, pastori e  poi anche agricoltori, mamme, “casalinghe”, eccetera.  Da lì iniziò la civiltà e si affinò il pensiero.
Avendo più tempo libero, l’umanità cominciò a pensare in astratto, facilitata in questo dalla parola, che permette di definire pensieri ed idee in forme che puoi comunicare al tuo prossimo, quindi facilita questo scambio e in più stimola la mente all’astrazione (cane non vuol più dire il mio cane, ma l’idea di tutti i cani).
Vedo che andate sempre più spesso al tavolo a bere una bibita, siete già stanchi? Ma ora arriviamo al punto, resistete ancora un po’.
Marco, come vivevano gli uomini primitivi?
Già, avevano pelli per coprirsi, bastoni, lance o sassi per difendersi, pietre chiamate selci per lavorare. Il mondo attorno a loro era costituito da boschi, savane e dal mare, alte montagne e grandi fiumi, impetuosi torrenti e infide paludi. E tutto questo era in balia del vento, della pioggia, della neve, del fulmine, della canicola estiva e del gelo invernale, degli incendi e delle alluvioni: era un mondo ostile, pericoloso ed imprevedibile.
Poiché l’uomo sapeva che la sua volontà poteva modificare la natura, dato che con una lancia poteva uccidere un animale, con la selce tagliare un albero  e con il fuoco poteva incendiare una foresta, pensò che ogni cosa che accadeva fosse dovuta ad una volontà ben precisa. Ma siccome quello che poteva fare un uomo era piccola cosa a confronto delle forze della natura, allora immaginò poteri immensi e nascosti che agivano sul mondo e li chiamò Dei.
A questi dei terribili, che potevano uccidere o bruciare con il fulmine, che potevano far soffiare venti tanto forti da sradicare gli alberi, che potevano sconvolgere il mare con altissime ondate;  a questi dei potentissimi pensò di poter chieder protezione con sacrifici, altari, templi e monumenti. In fondo anche oggi si fan regali alle persone che influiscono sulla nostra vita (e non pensate alla corruzione, pensate al regalo che si può fare ad un medico che ti ha ben curato e magari salvato la vita).  
Così nacque la religione.
Ma le religioni presto progredirono  e cercarono di dare risposta al più angoscioso tormento dell’animo umano: perché devo morire e cosa c’è dopo la morte?
Infine le religioni provarono a rispondere al più grande mistero dell’universo: da dove viene tutto quanto? che senso ha? e infine, noi che ci stiamo a fare?
Come poi le varie religioni scomparirono, progredirono, si trasformarono è un’altra storia, ma abbiate sempre rispetto per la religione, non può essere provata, ha dato risposte sbagliate su tanti argomenti, ma è una esigenza irreprimibile dell’anima umana, o per lo meno, di moltissime anime umane. Non è segno né di stupidità, né di ignoranza. Tante persone intelligenti e colte hanno la fede, perché si pongono problemi che chi non ha fede non affronta, o non giudica interessanti.
La scienza dà risposte ai tanti come della natura, ma non sa dire i perché. E' una delle massime conquiste della specie umana, ma non deve credersi in condizione di superiorità rispetto alla fede.
D'altro canto la religione, che dà risposte fideistiche ai perché, non deve porsi come ostacolo alla scienza e deve invece considerarla il risultato del più grande dono che Dio ha dato all'uomo.
Fintantoché esisterà l’umanità, moltissimi uomini non potranno fare a meno di Dio e dobbiamo rispettarli e comprenderli, anche se talora possiamo non essere d’accordo con chi dice di esser il tramite con l’Eterno.
D'altronde chi crede non deve rifiutare i risultati ottenuti dalla scienza né ostacolarla e non deve avere scarsa considerazione di chi non ha la fede.
 Che ne dici Juhan ? Non mi sembri tanto convinto.
Comunque per oggi basta, ragazzi, andate a bervi un’altra bibita e poi a giocare! A presto, se vorrete.



*   per chi non l’avesse già capito, ho una altissima stima delle donne (solo talvolta offuscata da alcune femministe), per cui  specifico che in certe occasioni uso il termine uomo per indicare l’intera umanità. Come diceva una vecchia battuta: “l’uomo abbraccia anche la donna”. (E certe femministe non storcano il naso).
  

Seguirà:
IL PENSIERO: la filosofia
IL PENSIERO: la scienza

lunedì 4 marzo 2013

INVITO

Cari amici sconosciuti e lontani (quelli vicini li tampino dappresso), se non avete già stabilito cosa fare per il ponte del 1° Maggio, vi propongo un programma di eccezionale qualità.


                                            Le stelle di Castelleone


Le stelle brillavano capovolte nel lunotto posteriore della Fiat 1100/103 attraverso cui le guardavo con la testa rovesciata all’indietro.
  La macchina, guidata da mio padre, correva sulla strada che dal mare porta al paesino di collina dove passavamo le vacanze. Sul sedile posteriore, nel buio della notte, senza ascoltare i discorsi dei miei genitori, potevo perdermi nei miei pensieri di ragazzino. I giochi della mattina sulla spiaggia, quelli di domani in campagna, la partita di pallone con gli amici, i sogni di avventure più belle di quelle lette nei fumetti, poi un vago sentore del futuro, in cui cominciavano a far capolino i primi pensieri di donne e di ragazze.
  Sul sedile posteriore, con la testa arrovesciata all’indietro, abbandonata sullo schienale, correva la mia fantasia, finché le stelle non mi catturavano e mi riportavano in questo mondo.  Nel buio scorreva davanti a noi la striscia bianca della strada non asfaltata, ai lati il verde dei fossi e ogni tanto una siepe o un albero che ci scorrevano veloci a fianco, ma là -sopra l’orlo oscuro delle colline- immobili, remote e vicine brillavano le stelle.
  Ah, le stelle!  L’universo: la meraviglia immensa e gratuita della natura.
Certe sere con gli amici -dopo aver  girovagato per il paese- quando volevamo sederci e riposarci andavamo nella piazzetta a fianco delle scuole, dove era in deposito per la notte la corriera, che presto la mattina successiva sarebbe partita verso il mare. Le porte non erano chiuse e sui sedili scomodi e duri potevamo rilassarci, stravaccarci in ordine sparso e dare la stura alle nostre chiacchiere. C’erano i ragazzi più grandi, da cui imparare di nascosto, fingendo di essere già scafati: un ragazzino di città deve tener alto il suo prestigio!
 Poi a mezzanotte il comune staccava l’illuminazione pubblica, che era comunque scarsa, perché fornita da rari lampioni con grosse lampadine ad incandescenza. Eh sì, bisogna essere sinceri fino in fondo. Qualche volta, quando la notte era troppo lunga e noiosa, quando tutti i discorsi erano finiti, ma c’era ancora voglia e bisogno di fare, di sentirsi vivi, di affermarsi, a volte -dicevo- qualche lampadina era  vittima di un sasso scagliato da noi  ragazzacci e terminava la sua vita con uno scoppio, un bagliore, una pioggia di vetri e uno sbuffo di fumo. 
  Comunque, quando la luce del paese si spegneva e si spegnevano le luci di tutti i paesini attorno e solo sulla costa a  venti o trenta chilometri la luce offendeva il firmamento, allora non si poteva non restare soggiogati dal cielo stellato. Si saliva lungo la strada erta che porta al cinema e al campo sportivo, sopra la scuola ed il monumento ai caduti e lì, sdraiati sulla terra secca del campo da pallone, più in alto di tutte le case del paese,  ci si poteva perdere nello spazio.
  In mezzo al cielo cera la vaporosa striscia bianca della Via Lattea  e poi centinaia, migliaia di luci splendenti. Alcune forti, come Altair, Vega, Deneb; altre così tenui che le vedevi con la coda dellocchio, ma se le fissavi non si mostravano più. Poi la più grande e la più lontana, la più affascinante, ma la più difficile da vedere ad occhio nudo: il piccolo sbuffo di chiarore della grande nebulosa in Andromeda, la galassia a noi più vicina.
  In alto, nel cielo: le stelle.
Sotto, noi ragazzi, in basso, anzi dentro:  sulla cima di un dosso, in un punto sperduto di quel minuscolo frammento di sasso che chiamiamo Terra, attorno ad una piccola stella che ruota con altri miliardi in una girandola che chiamiamo Galassia, che assieme a miliardi di altre riempie uno spazio così grande che non possiamo nemmeno immaginarlo …  
 in questa immensità, noi -piccolissimi, sdraiati di fronte all’infinito- sapevano di esistere, di esistere dentro a tutto quello che c’è.

  Tanti tanti anni sono passati, uno in fila all’altro, ma sempre più veloci e oggi guardare quelle quattro lucette sbiadite che si scorgono dalle nostre città mi innervosisce e mi riempie di nostalgia.  Per questo guardo poco le stelle e, quando capita, la cosa che più mi diverte è cercare di ricostruire nel firmamento quelle costellazioni che da ragazzo conoscevo ed ora non ricordo più: forse spero di ritrovarci la gioventù.
  Però quanto ti innamori davvero, la passione non ti abbandona più, così negli ultimi anni sono tornato ai miei vecchi libri di divulgazione: fisica delle particelle e astronomia.
Ecco, la storia dell’astronomia fa al caso mio, pur nella mia incompetenza, lì mi posso destreggiare e ci ho provato. Nel 2009, anno internazionale dell’astronomia e 40° anniversario della conquista della Luna, ho raccolto alcune idee per una breve conferenza ai miei amici, poi ho avuto successo e sono stato chiamato a ripeterla alla Associazione Astrofili Mantovani e prossimamente farò il tris dai GApers astrofili (e tanto altro) di San Giovanni in Persiceto.
Mi diverto tanto  e spero di continuare.  Mi auguro vi possiate divertire anche voi.


Questo è un invito, magari un po’ prolisso, ma è un
INVITO
per il
3 Maggio 2013
h. 21.00
 
GAPers
Associazione Gruppo Astrofili Persicetani

40017  San Giovanni in Persiceto   BO
Museo del Cielo e della Terra - Osservatorio Astronomico Giorgio Abetti – Planetario

Ampio e buio (come si confà ad un osservatorio astronomico)
PARCHEGGIO  da viale Vittorio Veneto
poi seguire a piedi la stradina alla destra del parcheggio
verso una lucina tra gli alberi.
Come Cappuccetto Rosso nel bosco, arriverete al planetario (A)
dove vi aspetterà non il lupo, ma
il dentista di provincia





Vi aspetto!

GIGI 

domenica 3 marzo 2013

RASOIO

RASOIO


Immaginatevi.
 Immaginatevi una catena non interrotta di colline, di fertili dolci colline, coperte dai sottili fili verdi, teneri e odorosi dell’erba di prati incontaminati.
 Immaginatevi su queste colline una vigna, anzi un unico filare di viti che si snoda continuo sulle colline senza che se ne scorga la fine, né l’inizio.
 Immaginatevi fitti, grossi grappoli d’uva con turgidi chicchi ammonticchiati uno sull’altro senza spazi tra loro.                                                                      
 Immaginatevi ora di vedere dal fondo della valle un puntino che si avvicina: è un uomo, un uomo vestito di tela di sacco, stretto in vita da una grossa corda, che avanza con le braccia incrociate e le mani infilate nelle ampie maniche.
Procede lentamente, ma il passo è sicuro e diretto, certo ha un obbiettivo ben preciso. Si avvicina al filare, da un grappolo sceglie un acino e lo prende con le dita della mano sinistra, poi con la destra, che regge un ben affilato rasoio, recide con un taglio sicuro e netto il picciolo.
Istantaneamente tutto l’infinito filare scompare.
Nelle sconfinate colline ora spoglie resta solo Occam con tra le dita un chicco grosso, gonfio, ripieno di dolcissimo succo e di fecondi semini.

Io sono ignorante, tuttavia -poiché qualcuno ha detto che la cosa più importante non è il sapere, ma il conoscere i limiti della propria ignoranza- allora almeno sono equilibrato.
Sì, perche il mio sapere è così poco che riesco ad appoggiarci sopra appena un solo piede e me sto lì ondeggiando con un piede sul terreno e l’altro sollevato in equilibrio precario.
Ci sono persone che hanno cultura molto, molto maggiore della mia e poggiano saldamente entrambi i piedi a terra e si ergono dritti e sicuri, sfidando l’universo con il loro sguardo fiero.

Ora mi avventurerò oltre i limiti della mia ignoranza, nelle cose che non conosco, ma che credo di aver capito almeno un po’.
Gli astronomi, i fisici, gli studiosi di come è fatto il mondo, si sono accorti che il nostro universo è come è, perché in esso alcune costanti fondamentali hanno determinati valori. Se anche uno solo di questi valori fosse anche di poco diverso l’universo non sarebbe quello che è, ma sarebbe  inospitale per noi, perché non potrebbe esistere la vita.
  Ora mi direte, cosa sono le costanti fisiche fondamentali?
Uh, roba difficile, guai a chiedere a un fisico: vi comincerà a distinguere tra quelle dimensionali e quelle adimensionali e poiché la più simpatica di queste è la costante di struttura fine vi imbamolirà con discorsi complicatissimi . Voi invece tenete a mente questa frazione:  1/137 e se qualcuno vi parlasse di "α, la costante di struttura fine", buttate là con disinvoltura quelle cifre e divagate sull’elettromagnetismo: farete un figurone.
   Invece io vi faccio un esempio semplice.  Sapete tutti che nella famosa equazione di Einstein c sta per la velocità della luce e sapete tutti -e se non lo sapeste velo dico io- che c  nel vuoto é 299 792,458 km/s , cioè circa 300mila chilometri al secondo. Per nessun motivo e con nessun mezzo si può far andare la luce più veloce o più lenta nel  vuoto.  E’ una costante e non si può derivarla da nessuna legge naturale, non si può cioè sapere  come e perché la velocità è quella e solo quella. Si può misurarla ed è stata misurata innumerevoli volte, sempre con lo stesso risultato. Per questo è stata definita una costante fisica e che sia fondamentale non c’è dubbio alcuno.
Un altro esempio? Sapete tutti cos’è un elettrone: per dirla nel modo più banale è quella pallina che gira ininterrottamente attorno al nucleo di un atomo oppure (per quello che ci riguarda, anche se della fisica non ve ne potrebbe fregare  interessare  di meno) è quello che fa funzionare, tra l’altro, il vostro cuore, le piante, le lampadine, i frigoriferi e i satelliti artificiali. Bene, tutti gli elettroni dell’ universo sono uguali e tutti hanno la stessa carica elettrica −1,602 × 10−19 C
 ( C è il Coulomb, una unità di misura della carica elettrica). E’ come per la velocità della luce, non sappiamo né come, né perché, ma la misura è sempre quella: è costante. 

Non voglio annoiarvi, perché le costanti fisiche fondamentali sono tante, potete vederle elencate in una tabella pubblicata nel blog della mia amica Annarita:
(Dopo, dato che ci siete, tornate spesso a trovare Annarita anche nell’altro suo blog: Scientificando.)

Ora sarete stanchi e vi chiederete, siamo partiti dall’uva, dove diavolo vuole arrivare?
Ci arriviamo, fra un po’; è una metafora per scandalizzare i sapienti.
Vi ho accennato prima che gli studiosi di queste cose si sono accorti che se le costanti fisiche fondamentali avessero valori appena diversi da quelli che hanno, l’universo che conosciamo e in cui viviamo non potrebbe esistere, sarebbe diverso e magari potrebbero non esserci le stelle e comunque sicuramente non potremmo esserci noi, né alcun tipo di vita.
Allora quelli che hanno fede in un essere superiore si son messi, tutti felici, a battere le mani dicendo: Vedete, non può essere che opera di Dio!
(Quale dei tanti è argomento di dispute cruente, e non scherzo!)
 










 
 Ma l’esistenza di un essere superiore che abbia generato l’universo non si può provare, ci si può credere oppure no, ma se ci si crede è per fede, non per prove scientifiche.
   Tertulliano, un avvocato e poi prete nato a Cartagine  e vissuto tra il II e il III secolo D.C. scrisse: “Credo quia absurdum”. Credo perché è assurdo. La fede non ha bisogno di prove, altrimenti non sarebbe fede. Si ha fede proprio in ciò che alla ragione sembra assurdo, altrimenti non sarebbe fede, sarebbe conoscenza.  
A mio avviso il caso che le costanti concordino in modo così felice è un fatto, va accettato.
La scienza studia il come delle cose e non il perché (almeno per ora, ma forse per sempre). Delle costanti non si può indagare  né il come, né il perché, quindi il discorso è chiuso, almeno per ora.
Chi ha fede può anche credere che sia un segno dell’esistenza di un dio, ma non può prendere la coincidenza come dimostrazione certa.
Gli scienziati invece devono prendere atto, anche se è una coincidenza sconcertante, che su questa non si può indagare e va presa com’è.  E invece no. Alcuni fisici (non tutti) non vogliono ammettere neanche la più lontana possibilità dell’esistenza di un essere o di un ordine superiore. Allora per giustificare che esista questo felice e fortunato universo in cui siamo, immaginano un numero infinito di altri universi che hanno le nostre stesse leggi fisiche, ma diversi valori delle costanti. Di questi infiniti universi noi saremmo per forza nell’unico che ci può ospitare.  Che spreco!
Ora, dritto su un solo piede, vacillo quasi al punto da stramazzare sul suolo dell’ignoranza.
Intanto però mi domando: la scienza si basa sull’esperimento, ogni teoria deve essere confermata da esperimenti ripetibili o come diceva Popper deve essere falsificabile.
Che ne facciamo degli universi infiniti? Per sfuggire a una fede indimostrabile,  creiamo una teoria anch’essa indimostrabile? Questi scienziati non si sono chiesti come tutta questa infinita costruzione di universi  si è generata? Alla fine della storia, gli infiniti universi non sono una nuova fede? Ci vuole ancora Tertulliano? Forse.
  Ma io preferisco far salire sulla collina il frate francescano del XIV secolo Guglielmo di Ockham che usa il suo famoso rasoio decretando: “Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem.”  cioè non moltiplicate  le cose più del necessario.
Eccolo lassù sulla collina, con in mano il chicco d’uva che è il nostro UNIVERSO, dopo aver fatto scomparire il MULTIVERSO.






P.S.:Tornerò sulle tante ipotesi che vengono comprese sotto il termine Multiverso, sono molto interessanti.