IMMAGINATEVI

IMAGINE Immaginatevi fantasmi, dèi, diavoli. Immaginatevi inferni e paradisi, città sospese tra i cieli o sommerse nel fondo dei mari. Unicorni e centauri. Streghe, maghi, gnomi ed elfi. Angeli e arpie, fatture e incantesimi, spiriti degli elementi, spiriti buoni o spiriti malvagi. Facili da immaginare, tutte queste cose. L'umanità continua ad immaginarle da migliaia di anni. Immaginatevi astronavi e tempi futuri. Facili da immaginare: il futuro sta arrivando, ed in esso ci sono le astronavi. Non c'è niente, dunque, che sia difficile immaginare? Certo che c'è. Immaginatevi un po' di materia, con voi stessi dentro che pensate, siete quindi consapevoli di esistere e sapete far muovere questa materia in cui siete: farla star sveglia o dormire, farle fare l'amore o una passeggiata in collina. Immaginatevi un universo, infinito o no, a piacere vostro, con dentro milioni di bilioni di trilioni di Soli. Immaginatevi una sfera di fango che gira e gira vorticosamente attorno a uno di questi Soli. E immaginate voi stessi su questa sfera, a girare anche voi,a girare vorticosamente nel tempo e nello spazio, verso una mèta ignota. Immaginatevi. Fredric Brown (1955)

venerdì 4 gennaio 2013

UNO SGABELLO A TRE GAMBE


Dell’Arte: di tutte le Arti, di tutti gi Artisti, di tutti i Capolavori:
visti dal dentista di provincia  (poverino!)

                        L’arte è uno sgabello a tre gambe.

             Uno sgabello? Come uno sgabello? Direte voi.
Allora cominciamo a metterci d’accordo: qui io scrivo e voi leggete ( … e riga!).
Se poi avete qualcosa da ridire mi scrivete e mi coprite di improperi, dicendomi che non capisco un accidente, perché non ho letto il tal critico, il tal filosofo della conoscenza, il tale psicanalista …
E basta!  Non ho letto niente, sono un ignorante e so di esserlo (questo vi dice qualcosa?) perciò, se volete, continuate a leggere finché resistete, sennò ciao e amici come prima.
Allora, come dicevo prima che qualche maleducato mi interrompesse in malo modo, come dicevo l’arte è uno sgabello a tre gambe. Voi sapete bene che un tavolo a tre gambe è assolutamente stabile, perché per tre punti passa un piano ed uno solo (cultura, eh?). Assodato questo principio geometrico, perché uno sgabello e non un tavolo? Perché lo sgabello è scomodo, perché lo sgabello ha senso solo se ci state seduti sopra. Un tavolo è più grande, più vistoso, magari anche di valore se è antico o di design; poi su un tavolo potete appoggiare il vostro i-Mac, il vostro i-pad, il vostro 

i-quel che vi pare e poi dimenticarvene. Il tavolo starà lì buono e tranquillo a reggere i vostri aggeggi anche se voi ve ne andate a cena, alla partita o a far la corte ad una bella donna (o a un bell’uomo: sono femminista e conciliante con tutte le preferenze sessuali; però le mie me le tengo … e riga!)                                        
Lo sgabello, eh! lo sgabello è piccolo, scomodo e serve solo per starci seduti e mentre siete appollaiati lì sopra state male, perché i piedi non toccano per terra, perché non c’è dove appoggiare la schiena, non c’è dove tenere le mani e le ossa del sedere  vi dolgono sul legno del sedile.
Oh, mettiamo subito in chiaro una cosa: l’arte non è un pranzo di gala.
Chi lo diceva pure? La frase era un po’ diversa e per me il Mao non ci ha mai preso molto, anche se andava tanto di moda, però è un fatto: l’arte è spesso rivoluzione.  Lo è sempre se è vera e grande.
Urca, che svirgolo che ho preso!  Torniamo ben allo sgabello, che è meglio che voli basso: sgabello ho detto, mica trespolo.
Seduti sullo sgabello, vi trovate  in una immensa sala circolare, coperta da una tersa cupola di cristallo, attraverso la quale potete vedere tutto il    
mondo attorno a voi. Tutto il cielo: lo spettacolo di morbide albe, di drammatici tramonti, del gelido buio della notte trafitto da migliaia di stelle, della luna nelle sue varie sembianze e colori e poi panorami meravigliosi, fiori affascinanti, animali stupefacenti e infine anche bambini, belle donne e          
begli uomini che passano all’esterno. Tutte cose meravigliose, vi piacciono molto, sono affascinanti, bellissime, ma attenzione: non tutto ciò che è bello è arte. Non basta dire mi piace per dare un giudizio artistico. Così vi ho tolto l’unico svago: guardare le belle cose di fuori e voi restate seduti lì sullo sgabello, state scomodi e smaniate, non capite perché io vi abbia messo proprio lì a non far niente.
E allora? Vi guardate in giro e nella sala non c’è niente, niente di niente: ma che arte e arte! Questo è uno schiacciamento di p… (mi scusino le femministe, ma non ho esperienza personale di cosa si schiaccino le signore in quelle condizioni).
Finalmente abbassate lo sguardo: Opperbacco! C’è il pavimento.
Vedete che vi serve star qui a leggermi. Quello non è il pavimento, avventati! Quello è l’artista!
Ora qualcuno corra a proteggermi perché torme di artisti si affollano alla mia porta per sfondarla e trucidarmi. Intanto che mi barrico spostando un armadio davanti al portone, cerco di spiegarmi. Cos’è il pavimento, il suolo, se non la base di qualsiasi cosa? Anche l’aquila che vola più alta è uscita da un uovo appoggiato da qualche parte. L’artista è la base dell’arte, non ci sarebbe arte se non ci fossero artisti. Son venuti prima gli artisti e poi l’arte, mica come l’uovo e la gallina!
Ops! Con questi paragoni gli artisti continuano a guardarmi storto, ma almeno hanno messo giù i bastoni.
Oh, state attenti con gli artisti, perché hanno certi caratterini, che te li raccomando …
Bene, sono andato a bermi un bicchier d’acqua per tranquillizzarmi e va meglio perché la massa tumultuante fuori della porta se ne è andata. Veramente c’è mia moglie seduta sul divano che mi      
squadra   con un’aria! Sapete, mia moglie è un’artista, una pittrice: una grande, innovatrice pittrice. Mi ama, ma prima di tutto è un’artista e quindi ha il suo caratterino. Poi dovete sapere che ha dovuto prendere il porto d’armi, perché quando si arrabbia sfodera uno sguardo che stende un toro a cento metri. Però mi vuol bene ed è curiosa di vedere dove vado a parare. Quindi riprendo, però sappiatelo, se lo scritto si interrompe di colpo, avete già capito il perché.
Allora, sotto c’è il pavimento: un parquet largo, duro, resistente, che regge tutti i vostri sgabelli. Le gambe degli sgabelli possono graffiare il lucido legno, possono scalfirlo, ma il pavimento è fatto per questo e (detto fra noi) più sgabelli ci sono, più il parquet ci gode.
Sugli sgabelli ci siete voi, che pian piano cominciate a capire. Siete seduti e i vostri piedi sfiorano appena il pavimento, ma non arrivano a toccarlo, fra voi e lui ci sono solo le tre gambe dello sgabello: le tre gambe dell’arte.

 La prima gamba è la più facile. E’ quella che avete davanti, attorno alla quale potete avvinghiare le gambe e i piedi. E’ quella che conoscono tutti, quella che ci fa sentire l’arte come una cosa nostra.
L’artista, che se siete stati attenti sapete che è il pavimento, quando produce un’opera ha una ispirazione e attraverso quella gamba la fa salire fino a voi e voi provate un’emozione.
Quelli colti dicono che questa è empatia e usano altre definizioni e raffinate disquisizioni. Invece io sono ignorante e su questa gamba dello sgabello/arte la dovrei chiudere qui, tanto avete già capito e se voleste un trattato serio avreste già smesso di leggere da un pezzo.  E invece no, perché sono pedante e quindi mi ripeto: quello che l’artista vi trasmette non deve essere necessariamente bello, può anche essere ostico, addirittura fastidioso, ma deve arrivare alla vostra sensibilità. Per 
esempio, non mi direte che sono belli l’ Urlo di Edvard Munch, la gran parte delle opere  di Francis Bacon o la Crocefissione di  Matthias Grunewald a Colmar. 

                                                                

   Ora ci sono le due gambe di dietro, quelle che per vederle bisogna girarsi sulla schiena, piegarsi e far fatica. Come vi ho pazientemente spiegato (come sono buono io!) sono due gambe fondamentali, perché senza quelle l’arte casca per terra con voi sopra e sbattete sul pavimento/artista e magari lo mandate al diavolo. Se invece volete apprezzare appieno l’artista e la sua opera non potete far meno del di dietro!
Per farla corta le due gambe restanti sono: la tecnica e la cultura.
Qui il discorso si fa complicato e comincio a sudare, mia moglie dal divano ha un’ aria di commiserazione, ma con una sfumatura di condiscendenza. Non mi fulminerà con un’occhiata e prendo coraggio.
  La tecnica è un albero ramificato per voi che siete i fruitori dell’opera d’arte.
Fruitori? Se scrivo un’altra volta questo sostantivo siete autorizzati a sputarmi in faccia.
Come fate? Mi scrivete, prendiamo un appuntamento e poi dopo vi offro anche un caffè, se non avete esagerato. Chiusa parentesi.
L’artista/pavimento/parquet è fatto anche del legno di quell’albero.
Quella pianta dovete condividerla con l’artista, perché dovrete arrampicarvi per tutti i suoi rami.
Primo esempio basilare di tecnica che deve essere in comune: se vi recitano o se leggete una poesia giapponese che effetto vi fa? (chi sa il giapponese scelga un’altra lingua e non stia a rompere!).
E qui casca a fagiolo il grande Jerome K. Jerome e i suoi “Tre uomini in barca, per tacer del cane”. Chi non l’avesse letto ha tre mesi di tempo per rimediare, dopodiché gli toglierò il saluto. (At capè?) Chi l’ha letto ricorderà l’episodio del grande poeta tragico norvegese o polacco o non ricordo cosa, che viene ospitato in un palazzo inglese a recitare le sue tristissime opere. Un gruppo dei burloni però in anticipo sparge la voce che il poeta sia un comico, che reciti testi buffissimi, ma la sua abilità consista nell’assumere gli atteggiamenti più drammatici e funerei. Immaginate (o ricordate) come va a finire: il poeta, dopo aver sopportato a lungo le risate del pubblico che non capisce le sue parole e interpreta a rovescio le sue espressioni, sbotta e se ne va sdegnato. Val la pena di rileggerselo, devo andare a cercare il libro, da qualche parte sarà finito.   Sennò c’è sant’Amazon.it.   
Questo aspetto tecnico è banale per la letteratura, ma vale anche per la musica e per le arti figurative,
Per esempio c’è tanta gente che apprezza la pittura classica e gli impressionisti, ma da lì in poi si rifiuta di considerare arte quella successiva: “Ah, ma come si fa a chiamare arte quegli sgorbi?”  E’ evidentemente un problema di comprensione di linguaggi. Infatti  anche la tecnica degli impressionisti non venne compresa subito e fecero fatica ad affermarsi: pensate al povero Vincent.
  Ma è stato sempre così. Michelangelo si vide rifiutato dal committente il Tondo Doni (e dico il     

Tondo Doni),   perché a messer Doni non piacevano i nudini in secondo piano. Del Caravaggio sapete tutti le traversie: gli dicevano che non si poteva prender come modello della Vergine una prostituta annegata nel Tevere   e poi i suoi pellegrini    avevano sempre i piedi inzaccherati!  Qui più che di tecnica si tratta di cultura, come vedremo alla fine.  Però per quel che riguarda la tecnica,  Buonarroti  diceva di se stesso d’esser scultore e non pittore!  E l’innovativo drammatico chiaro-scuro del Merisi diede luogo a vivaci polemiche, prima di affermarsi ed essere apprezzato definitivamente.

Un altro esempio classico di iniziale incomprensione è la “Cattedrale di Rouen” di Monet.  Nel giro di due o tre anni Claude Monet dipinse la cattedrale di Rouen in una trentina di tele diverse: nelle diverse stagioni e alle diverse ore del giorno. Oggi quella serie è considerata uno degli apici dell’impressionismo, ma per molto tempo  i più non la compresero: spesso sulla tela non si vedeva quasi niente di definito e quando si vedeva qualcosa tra un’opera a e l’altra cambiavano solo i colori! Poi questi quadri sono stati esposti, esposti ancora, pubblicati nei libri e mostrati al cinema, in Tv ed ora anche in Internet; il linguaggio di   Monet e quello di tanti suoi coetanei è stato assorbito e metabolizzato nei cervelli e nella sensibilità della ggente. Ora di Cattedrali di Rouen ce ne sono due tipi: quella di pietra e quelle di colore sulle tele. Val la pena di vederle tutte quante.
  Il discorso della tecnica però è ancora più ampio e profondo, quest’albero frondoso ha radici che arrivano ben sotto il pavimento.
Essì, perché è vero che il pubblico deve saper comprendere la tecnica dell’artista, ma l’artista -per esser tale- deve possedere la  tecnica, una grande tecnica. Dentro ogni opera d’arte, sotto il parquet (o nel cervello dell’artista, se siete meno prosaici di me) ci deve essere un assoluta padronanza della tecnica.

Prendete la musica. Molti ragazzi/e con una chitarra in mano possono mettere insieme un ritornello, un giro di do, che magari diventa una hit. Ma Vivaldi è un’altra cosa.




 Prendete la pittura.  Pablo Picasso , che era un tipo modesto, disse: A dodici anni dipingevo come Raffaello, però ci ho messo tutta una vita per imparare a dipingere come un bambino” (questa l’ho presa da Wikipedia). Non crediate che sia arte far disegnini da bambini o macchie o sgorbi, se non siete Picasso o Raffaello.              
                                                                                                         
Sulla tecnica vi sfinisco, perché adesso vi voglio dare un esempio di tecnica letteraria o meglio poetica. Conoscete tutti Manzoni. O lo odiate (per colpa della scuola) o lo amate, oppure non ve ne frega niente. Però sapete almeno le prime parole del “5 Maggio”. Essì: “Ei fu, siccome immobile …” non si scappa. Ma molte strofe più avanti don Lisander descrive la disperazione e il rimpianto di Napoleone rinchiuso a S. Elena.   Sentite qui, vi ricordate?. “Come sul capo al naufrago l’onda s’avvolve e pesa, l’onda su cui del misero, alta pur dianzi e tesa, correa la vista a scernere prode remore invan; tal su quell’alma il cumulo delle memorie scese.” Ci vuole una tecnica immensa per mettere in fila una dopo l’altra una così lunga serie di parole per illustrare un’immagine così drammatica e così evocativa. O no?
Ultima sulla tecnica. Architettura. Qui non ci piove, (ci è già piovuto abbastanza).

Siete mai stati a Beauvais, in Piccardia, nel Nord della Francia? Lì c’è la stupenda cattedrale gotica    di Saint-Pierre. La più alta cattedrale di  Francia e forse del mondo. Sottili lesene di pietra e altissime multicolori vetrate. La inaugurarono nel 1272, non era nemmeno finita e 12 anni dopo crollò. Poi la ripristinarono e nel 1569 inaugurarono la torre campanaria, che manco a dirlo cadde quattro anni dopo. La Cattedrale di Beauvais  comunque, dopo tante traversie e ricostruzioni è oggi uno splendido monumento, reso più romantico  dalla piccola antica chiesetta annessa: La  Basse Œuvre.  Però quando si vuole andare oltre i limiti della tecnica o non li si conosce non si fa un’opera d’arte, si fa un mucchio di macerie, e non solo in architettura.
Avete notato come son diventato serio?  Spero di non avervi  rotto troppo le scatole, ma questi concetti per me  sono fondamentali per accostarsi all’arte, qualunque tipo di arte e perciò divento pedante, scusate!
Ora, se avete sopportato ‘sta sbrodolata fin qui, be’ tenetevi forte, perché c’è la terza gamba, l’ultima per vostra fortuna.

  L’ultima gamba, lo sapete già, è la cultura.
Qui ve la cavate con poco, perché -essendo un ignorante dichiarato- sulla cultura ho poco da dire, ma ci provo. Bene, sotto la terza gamba c’è l’artista che deve avere cultura e la sua cultura -più o meno ampia, ma più è ampia più è facile che produca capolavori- è determinata dal mondo in cui vive e si riflette nella sua opera. Questa cultura modella anche la sua sensibilità e le sue motivazioni, cioè la sua ispirazione.

Però vi ho detto che la vera, grande arte è sempre rivoluzione: così il grande artista è figlio del suo tempo, ma chiude un’epoca e ne apre un’altra, a volte con scandalo dei suoi contemporanei.
Vi ricordate dei due Michelangelo di cui vi ho detto prima?
Voi che state sullo sgabello, qualunque cultura abbiate, ampia oppure 
limitata come la mia, se volete apprezzare appieno l’opera d’arte dovete avere un’idea del mondo in cui l’artista è vissuto e della sua cultura, del suo modo di vivere. Per questo sono così interessanti le trasmissioni e i libri di Philippe Daverio. 

Concludo (finalmente!) con quattro rapidi e facili esempi, nel mio piccolo piccolo.

Dante:  è universale come ogni vero artista, ma potete pensarlo fuori dal mondo medievale?


Potete pensare a Shakespeare fuori dal mondo elisabettiano?

A Wagner  fuori dal romanticismo tedesco?


Infine a Botticelli fuori dal Neoplatonismo prima e fuori dalle prediche del Savonarola poi?




Potete pensare a me fuori dalle scatole?  Sicuramente!  Quindi vi ringrazio della pazienza e vi saluto.
Intanto mia moglie si è addormentata sul divano: per lei le tre gambe dell’arte sono vita quotidiana e le mie chiacchiere sono pena quotidiana!




Con un po' di ritardo aggiungo i dati delle immagini più importanti qui riprodotte:

Citazioni dalle opere del presidente Mao Tse-tung  o Libretto Rosso, 1966
Edvard Munch: L’urlo, 1895.
Francis Bacon: Studio dal ritratto di Papa Innocenzo  X di Velazquez,   1953
Matias Grünewald; Crocifissione dell’ Altare di Issenheim,   1512-16 (oggi a Colmar)
Jerome K. Jerome: Three Men in a Boat (To Say Nothing of the Dog!),  1889
Michelangelo: Tondo Doni , 1506
Caravaggio: Madonna dei pellegrini o di Loreto, Basilica di S. Agostino, Roma,  1604-6
Monet: Cattedrale di Rouen (collage di 6 dipinti),  1892 e seguenti
Pablo Picasso: Maternità  (Periodo rosa),  1905
Picasso disegna un gallo
Francesco Hayez (1791–1882): Ritratto di Alessandro Manzoni    
Cattedrale Beauvais:  dal 1225 ai giorni nostri
Philippe Daverio:  Il museo immaginato IL SECOLO LUNGO DELLA MODERNITA’ Rizzoli 2012
           (in copertina:  particolare di Gustave Caillebotte: La Place de l'Europe, temps de pluie, 1877)
Sandro Botticelli: Venere e Marte,  1482
Sandro Botticelli: Compianto sul Cristo morto,  1495 circa

1 commento:

  1. Lo spunto per questo scritto, mi venne tempo fa, quando -facendo una visita agli Uffizi con un gruppo di amici- ascoltai dei commenti che non potevo condividere. Allora scrissi per i miei compagni di viaggio un resoconto scherzoso della giornata, ma mi è sempre rimasto il tarlo che anche l'arte abbia bisogno di divulgazione (scientifica).
    Sì,a mia moglie piacciono i pezzi che scribacchio e ormai è anche rassegnata a seguirmi alle mie conferenze astronomiche. A proposito, proprio ieri abbiamo stabilito la data: Venerdì 3 Maggio al Museo del Cielo e della Terra nel planetario dei GAPERS a San Giovanni in Persiceto si ripeterà per la terza volta la fondamentale conferenza "UN DENTISTA SI FARA' VEDER LE STELLE" Sono invitati tutti i masochisti e gli amici a prova bomba! ;-)

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Grazie di aver perso tempo per me, sarò felice di poterti dedicare un po' del mio tempo. E' prezioso solo per motivi anagrafici. A presto.